Soddisfatti o rimborsati: really?
7 Ottobre 2016
Giuseppe Arditi – Uno slogan, tra i tanti che ci circolano nel settore Horeca, e non solo, mette una paura incredibile in chi lo pronuncia: “Soddisfatti o rimborsati”. Se ci si trovasse in un film americano, verrebbe da eccepire: “Really?”, ossia: come è possibile che un semplice assunto mini la relazione tra cliente e fornitore?
Basta scavare poco sotto la superficie per scovare subito il “bubbone”: “sodisfatti o rimborsati” è un patto. Che io, imprenditore, insieme a tutti miei dipendenti e al servizio che fornisco, stringo con il mio cliente e quindi anche con il cliente finale. Inserire, in questa catena di persone che si rispettano, il patto di cui sopra, significa essere pronti a rispondere dei propri errori, della propria qualità non eccelsa. Insomma, dire “soddisfatti o rimborsati”, significa affermare: io non scappo, se non sei contento non solo me lo devi far sapere, ma io farò in modo di rimborsarti, e farò anche in modo che questo inconveniente non capiti più. Per giungere a questa promessa occorre essersi strutturati, a livello organizzativo, in maniera ineccepibile. E soprattutto essere certi del proprio valore e del valore della merce che si sta proponendo. Merce perfetta, nessuna contestazione; massima soddisfazione, nessun rimborso.
Ristopiù Lombardia ha scelto di adottare questo approccio molto trasparente. Fateci caso: quanti, tra i vostri fornitori, si comportano in questo modo? In alcuni settori merceologici la customer satisfaction è ancora un inglesismo per dire che “il cliente rompe”; in altri proprio non esiste, nel senso che mancano le minime regole dei seri rapporti commerciali (scadenze e preventivi non rispettati e così via). La nostra fortuna è quella di lavorare un settore che, in realtà, non ammette più tanti errori. Vogliamo essere perfetti e perfettibili. Per questo non ci tiriamo indietro. Alla fine, soddisfatti o rimborsati non è uno slogan, ma un dato di fatto.