Di brioche bollenti ed export
8 Agosto 2016
Cos’hanno in comune brioche servite bollenti da un incauto barista e l’esportazione italiana di cibo? All’apparenza nulla, in realtà tantissimo: sono entrambi casi di inefficienza, dovuta ovviamente a diverse motivazioni. Da una parte c’è il locale collocato in un certo quartiere, in una città piccola o media o grande italiana (un ambito ristretto, a confronto dell’intera esportazione del Paese). Però, anche in questo piccolo ambiente, capita che una scelta sbagliata, avventata, o poco precisa possa causare importanti guai. Sfornare una brioche, servirla ancora bollente al cliente, con il rischio che si ustioni la lingua e le papille, è un errore da non commettere. Non importano le motivazioni sottostanti (la fretta, una domanda di prodotto troppo alta e improvvisa), ma il risultato: cliente infastidito e praticamente perso.
Ora cambiamo prospettiva: allarghiamola a dismisura, fino a comprendere tutte le aziende italiane del settore alimentare predisposte all’esportazione. Ebbene, pare, secondo dati di UniCredit, che non siano stati posti ancora in essere i giusti strumenti per guardare con efficacia ai mercati emergenti, ossia agli unici in grado di vantare una buona capacità di spesa, dunque di acquistare i prodotti del Made in Italy. Secondo UniCredit, l’economia cinese tra cinque anni varrà 60 miliardi di dollari; anche india, Indonesia e Thailandia saranno buoni importatori. Peccato che gli italiani non siano in grado di penetrare in modo corretto in questi mercati: se si pensa alla sola Cina, il valore del nostro export è pari all’1,3% (è pari al 6% in Francia). Quindi, praticamente, le aziende italiane, giocando con le metafore, sfornano buonissime brioche bollenti, le lasciano riposare, le depongono su un bellissimo piatto da portata e poi le nascondono nella credenza. Dunque tutto questo sforzo alla fine non serve a nulla, anzi, non fa che peggiorare la situazione, considerato che il mercato nostrano è assai asfittico e non offre opportunità di crescita.
Come si può invertire il trend? Per esempio iniziando a fare bene il proprio lavoro, il che significa, lato barista, puntare sulla qualità e non commettere errori devastanti. Lato imprese, da una parte fare sistema, dall’altra farsi supportare da quelle realtà capaci di unire i diversi intenti del singolo e di aiutare in tutte quelle pratiche che possono agevolare lo sbarco in Cina (dalla lingua, alle normative sui cibi, sulla conservazione, alla promozione e al marketing legati al marchio Italia). Ce la faremo sicuramente, importante però è iniziare.