Dai locali “per pensare” ai locali “per vivere”
2 Agosto 2019
Giuseppe Arditi – Quante tipologie di bar esistono in Italia?
Un giorno ho provato a contarle e mi sono perso. Sono tantissime, alcune molto note, altre di nicchia, altre relegate a esperienze territoriali. Altre ancora “temporary”, ovvero spot, il tempo di recuperare l’investimento e arrivederci.
Come si può immaginare, non tutte hanno senso… infatti non tutte hanno successo.
Tra i tanti locali che ho incrociato nella mia lunga carriera, quelli che mi hanno colpito, ma allo stesso tempo lasciato molto perplesso, sono i cosiddetti “bar per pensare”, ovvero quegli spazi che scelgono volutamente un’atmosfera molto soft e raccoglimento per intercettare un certo tipo di clientela.
Premessa: se questa clientela viene davvero catturata, nulla da dire.
Se, invece, l’idea è quella di distinguersi e “selezionare” la clientela, con il risultato di trovarsi il locale vuoto… qualcosa da dire c’è.
Io credo che più che parlare di locali “per pensare” sia necessario parlare di “locali per vivere”, ovvero spazi nei quali le persone stanno bene per quello che sono e sentono, non per quello che viene imposto loro di vivere.
Se voglio usare il cellulare, perché non dovrei (certamente con rispetto)?
Se voglio leggere, perché non dovrei?
Se voglio chiacchierare, perché non dovrei?
Se voglio bere in santa pace un mohito, perché non dovrei?
Insomma, ecco cosa voglio dire: noi abbiamo il compito di predisporre un’offerta intelligente, non escludente, ma includente e coinvolgente; che sia ben caratterizzata, certo, ma che dia modo a chiunque entri nel nostro locale di sentirsi in un posto davvero unico e speciale.
Se vogliamo aumentare il successo ed essere sempre vincenti, dobbiamo tenere aperte le porte. Anche del cervello.
Buon agosto