Quando il consumatore “vende” i suoi dati
15 Marzo 2017
Il tema è spinosissimo ma apre, anche nel settore Horeca, porte e portoni di ogni sorta. La protezione della privacy è quanto il consumatore abbia di più caro: la legge gli garantisce i diritti che lui fa valere, dando o meno il consenso a ricevere materiale promozionale, essere contattato e così via.
Sino a oggi si poteva immaginare il cliente chiuso in una fortezza impenetrabile, arroccato tra le sue idee e le sue convinzioni, poco propenso a condividere informazioni su di sé con coloro che stazionavano oltre la barriera del castello.
Il vento sta però cambiando, a confermarlo è un’indagine curata da GfK a livello internazionale. La ricerca, che ha coinvolto 22 mila persone, vede il castello trasformarsi in un prato pianeggiante, con dati che circolano liberamente e aziende che sono pronte a catturarli? Il motivo? Il famoso “do ut des”: in pratica, i consumatori mostrano – nel 27% dei casi – di voler condividere i propri dati personali con aziende e retailer, purchè venga dato loro qualcosa, in termini di scontistica, promozioni, shopping experience veloce e tarata sulle proprie reali esigenze. Gli italiani sembrano ancora più propensi, attestandosi la percentuale al 28%. Molto interessati risultano essere i trentenni.
Dove stanno porte e portoni per l’Horeca? Nella possibilità, finalmente, di personalizzare maggiormente l’offerta per il proprio cliente che arriva per il veloce pranzo di lavoro; di contattare un cliente che magari è assente da troppo tempo; di puntare su servizi targettizzati, senza sprecare denaro con iniziative “a pioggia”, dispersive dunque inutili. Il tutto facendosi aiutare dalla tecnologia, in modo da risultare poco invadenti ma molto efficaci. Tutto ciò è già realizzabile, perché il consumatore è “pronto”. Noi come siamo collocati?